EMILE MALESPINE
Max e Irène Bucaille visitavano regolarmente Claire Fontaine, la casa di Emile Malespine nella magnifica foresta di Rambouillet. I due uomini si scambiavano molte cose. Dopo la morte di Emile Malespine, Max e Irène Bucaille acquistarono la casa. Un luogo di calma e di ispirazione, dove Max lavorava, dipingeva e scolpiva…
Estratto dalla brochure della mostra “MALESPINE PEINTURE INTEGRALE” Galerie Rive Gauche dal 16 aprile al 9 maggio 1947:
“Certo, un buon pittore vale più di due avvocati, e un quadro parla sempre meglio di una prefazione. Invece di dire: ascoltate, non è meglio dire: guardate!
È solo che, dopo aver guardato, la gente mi dice sempre in modo indiscreto: ‘Come fai a farlo? Allora diventa necessario filosofeggiare alla maniera di una ricetta.
Ora c’è un quadro in cui l’invisibile è organizzato. L’arte ribalta la scienza e la realtà a favore dell’immaginario e dell’incerto. Il desiderio di Apollinaire si è avverato: “i mondi imponderabili diventano realtà”.
Ecco perché, senza umorismo, ho potuto dire: “Non sono un pittore, ma un quadro”. In questa nuova arte, il pittore non è altro che un trasmettitore di induzione. Il colore fa il quadro. Al quadro che rappresenta qualcosa è seguito un quadro che non rappresenta nulla, e ora un quadro che rappresenta tutto.
La regola per le persone ben informate è quella di opporre a un’invenzione un’anteriorità. In effetti, l’integralismo in pittura comincia all’inizio del mondo: nella foglia che si muove, nella nuvola che passa, nella roccia che rimane, nell’ombra che si trasforma, c’è tutto, assolutamente tutto.
Anche Leonardo da Vinci, nel capitolo XVI del suo Trattato della pittura, inventa il quadro che rappresenta tutto: non pretenderò di mettere qui una nuova invenzione o piuttosto un modo di speculare, che, sebbene molto piccolo in apparenza e quasi degno di scherno, è tuttavia molto utile per risvegliare e aprire la mente a varie invenzioni, ed ecco come: se si ha cura della sporcizia di alcuni vecchi muri o delle bigarrule di alcune pietre maculate, sarà possibile incontrarvi invenzioni e rappresentazioni di vari paesaggi, confusioni di battaglie, atteggiamenti spirituali, arie di teste e figure strane, abiti capricciosi e un’infinità di altre cose, perché lo spirito si eccita tra questa confusione e vi scopre varie invenzioni”.
L’interezza pittorica ricrea e supera le “invenzioni” tanto care a Vinci. La rappresentazione oggettiva è ridotta alla sua espressione più elementare, e di conseguenza alla sua forma più plastica per l’immaginazione. È interpretativa al massimo, evocativa al massimo.
Nel senso stretto in cui il fisico Niels Bohr diceva: “l’aspetto corpuscolare è complementare alla realtà”, la pittura va oltre il determinismo. In ogni momento, lancia una moneta e crea un mondo. Bastano pochi centimetri di superficie: i sogni salpano, cantano per un attimo in un arcobaleno e, più impalpabili di un’esitazione, ondeggiano e rotolano, e la nuvola imponderabile fissa a sua volta il desiderio incerto. Come sul corpo del nascituro, il desiderio lascia il suo segno indelebile. Il desiderio si è materializzato. Sarà, sta diventando, sta dipingendo nella sua interezza la realtà. ”
Emile Malespine
MOSTRA ALLA GALLERIA RIVE GAUCHE “MALESPINE PEINTURE INTEGRALE” 1947.
L’opera di Malespine è al centro dell’invenzione. Nelle forme espresse della sua scienza e della sua arte, traspare un motivo costante: creare. La sua attività poliedrica, che non si sofferma mai su un unico obiettivo, si irradia verso tutti gli orizzonti del pensiero, non per acquisirli e fonderli o dissolverli, ma al contrario per aggiungerli. Il giorno sereno di un buon raccolto conta poco per Malespine. Egli ama la complessa gioia e l’ansia della semina. Secondo la concezione vedantica, egli tende alla coscienza del Sé, che è al di là e al di fuori di noi, per cogliere il contenuto dell’universo.
Da qui, quando si trattava di dipingere, la linea che Malespine definiva: “Forme, strutture, colori, non sono che l’espressione delle forze che animano e dirigono la materia, per generare queste forme, produrre queste strutture, elaborare i colori”.
Il pittore aveva bisogno dei mezzi manuali e delle possibilità visive in grado di trattenere e fissare, attraverso la forma, la struttura e il colore, il momento espressivo di una forza. Una teoria sarebbe stata deludentemente gratuita e fragile. Solo il nuovo strumento era appropriato. La mostra che Michaud presenta oggi dimostra che Malespine l’ha trovato. L’invenzione offriva possibilità materiali per rinnovare la pittura, come la scoperta fatta dai Flammand nel Quattrocento, quando per la prima volta macinarono terre colorate nell’olio.
Questa preminenza di una tecnica in una delle forme di espressione della mente ha generato confusione. Si è parlato di caso. Personalmente, vi vedo addirittura un pericoloso abbandono, un fallimento della mente di fronte alla materia. Nell’abbaglio iniziale della scoperta, i critici e gli amici di Malespine hanno lasciato che i dubbi si insinuassero. – Così si abbandonò al caso, scrive Georges Linze. E Michel Seuphor: – Alla fine si è d’accordo, c’è qualcosa di grandioso in questa assurdità, c’è profondità in questo processo…. Ma aggiunge questa magistrale giustificazione: – …E ti fermi, guardando il quadro dentro di te. Questa è la parola chiave. I quadri di Malespine sono visti in modo soggettivo. Tu sei lo spettatore, l’autore, nell’incanto o nel dramma pittorico. Questa università ci ha portato a credere in un processo abile e rischioso.
– L’immagine che ne risulta”, scrive Jean des Vignes Rouges, ”è un prodotto misto del caso e dell’astuzia umana.
Né astuzia né caso. Ma intelligenza creativa e sensibilità. Gli esseri umani non sono mai casuali. Il subconscio lo è. La concordanza tra l’approccio della mente e la sua estensione materiale oggettiva. L’intuizione del fatto concreto, nel tempo necessario a cristallizzare, nella realtà, l’oggetto del pensiero. Incontri e risultati. Non coincidenze.
Ciò che più confonde e sorprende quando si vede per la prima volta un’opera di Malespine è il modo in cui il quadro è organizzato.
Fino a Malespine, la linea conduttrice bilancia il più possibile le curve con le linee rette e il meno possibile. Sotto le linee spezzate delle figure e degli oggetti, l’occhio trova facilmente questo ordine molto semplice. È una certezza antica per la mente.
Con Malespine tutto esplode. È stata definita pittura atomica. L’equilibrio plastico è radioso. Stellare. Se vogliamo un’approssimazione per esempio, troviamo la pittura siderale di Van Gogh. Ma un’affermazione più diretta dell’elemento. Un momento di caos dove la genesi è ordinata. Il pittore lo ha saggiamente notato: – Nella pittura integrale c’è tutto: il mondo che è venuto e il mondo che verrà? Così come c’è tutto sulla foglia che si muove, sulla roccia che rimane, sull’ombra che si trasforma.
Ma questo tutto? Questo universo nell’infinità del tempo? Può il caso esprimerlo sulla tela?
Il caso si tradurrebbe in un impasto senza significato. Malespine interviene con lucidità e abilità per far emergere la forma, la struttura e il colore della materia inerte. I colori dominanti sono organizzati in anticipo. La padronanza visiva e la certezza scientifica si occupano del resto. Il mestiere afferma lo spirito.
La pittura interiale risolve l’impossibile: ripristina il soggetto nella pittura non figurativa; partendo dal colore, riscopre l’oggetto.
La luce delle rocce, le stratificazioni del cielo, il volo aereo della materia, i fuochi zampillanti delle sorgenti, la limpidezza delle fiamme: impenetrabili cause divine che si ritrovano nell’espressione pittorica di Malespine. Siamo sull’orlo di un abisso. Il morso degli acidi moderni ha cristallizzato i vapori, formato e poi abolito gli spazi, ridotto l’eterno alla misura del nostro tempo per mezzo del colore sulla tela.
CH. BONTOUX-MAUREL